GIANNI DE TORA

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1992 ''Sull'orizzonte del Mediterraneo - momenti d' arte visiva a Napoli''- Istituto Francese Grenoble- Napoli (a cura della rivista Arte & Carte), 17-31 gennaio

 
ARTICOLO DI MELANIA GUIDA SUL QUOTIDIANO ''IL MATTINO'' DEL 26 GENNAIO 1992

Inaugurata al Grenoble una mostra collettiva sulle arti visive in città, promossa dalla rivista '' Arte & Carte''

UTOPIE MEDITERRANEE

Jorge Luis Borges individuava tra gli uomini dell'Oriente e quelli del Mezzogiorno unacaratteristica comune: essere baciati dal sole, e per questo li considerava particolarmente felici e creativi, capaci di raggiungere la salvezza «tramite l' intelligenza, l'etica e l'esercizio dell' arte». E se, come sostiene Wolfflin, «l'occhio si educa a seconda degli oggetti che contempla fin dalla giovinezza- non c'è dubbio che l'artista del Meridione deve vedere tutto più chiaro e sereno», investito com'è dalla vocazione naturale alle arti figurative. Inseguendo il filo rosso di questa comu-nanza, quest' ''amore per la forma assoluta che distingue la nostra tradizione", si è inaugurata venerdì, all'Istituto Francese Grenoble, la mostra collettiva che ha per titolo: «Sull'orizzonte del Mediterraneo: momenti d'arte visiva a Napoli», Un'iniziativa promossa dalla rivista «Arte & Carte» che attraverso una serie di manifestazioni, di incontri e di scambi nel variegato mondo dell'arte e nelle nuove realtà culturali intende provocare uno ''sguardo'' più attento e un ''ascolto" più avvertito alle forme e alle voci di coloro che «hanno dotato di parola i simulacri». Renato Barisani, Andrea Bisanzio, Giuseppe D'Anna, Salvatore De Curtis, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero, Vittorio Fortunati, Alberto Lombardi, Guglielrno Longobardo, Giovanni Massimo, Renato Milo e Antonio Perrottelli sono artisti che non raccontano storie come ha detto Arcangelo Izzo, «bensì la storia di una città che, attraversata da problemi laceranti di ogni megalopoli, non riesce neppure ad attivare i luoghi patrimoniali e pubblici del confronto culturale e della comunicazione visiva, perchè privata di un vero progetto politico e di un minimo di coor-
dinamento tra enti istituzionali, tra ricerca, singoli artisti, tra operatori economici e culturali». La mostra, presente all'Istituto fino al 31 gennaio, realizza uno degli obiettivi della rivista che l'ha curata. Il presupposto, secondo Antonio Filippetti, direttore di «Arte & Carte», è vivere l'arte ''non unicamente nel chiuso degli studi professionali o nelle gallerie ma utilizzando tutte le possibilità offerte da linguaggi comunque assimilabili''. Il tentativo è quello di rendere possibile un'utopia: «verificare un'idea di questo tipo».

 
DAL SAGGIO DI ARCANGELO IZZO PRESENTE SUL CATALOGO/RIVISTA PER LA MOSTRA

I pre/liminari dell'arte

In un racconto dedicato a Emanuel Swedenborg, Jorge Luis Borges dice che gli uomini dell'oriente e quelli del mezzogiorno, essendo baciati dal Sole, sono particolarmente felici e creativi perché raggiungono la forma della salvezza "tramite l'intelligenza, l'etica e l'esercizio dell'arte" . Sull'onda lunga di questa visione poetica s'innesta la considerazione teorica di Wolfflin per il quale "l'occhio si educa a seconda degli oggetti che contempla fin dalla giovinezza" per cui l'artista del meridione "deve vedere tutto più chiaro e sereno". Questa condizione è invece negata ai popoli del Nord, che non possono "irradiare una siffatta letizia dello sguardo" perché vivono "su un suolo incolore, che offusca i riflessi". Goethe, a sua volta, aggiunge che la sua gioia più grande sta nel fatto che qui, nel meridione d'Europa, il suo "occhio si educa dinanzi a forme sicure, e facilmente si abitua alla figura e ai rapporti". Dunque all'artista "meridionale" viene riconosciuta lo vocazione naturale alla "forma" e alle arti figurative, che oggi vengono definite arti visive. Vocazione che non si manifesta solo come disposizione a scegliere un dato genere di attività, ma si "traduce in metodo, in progettualità emotivamente comunicante; in grado perciò di sollecitare una partecipazione attiva e concreta, e stimolare (contemporaneamente) la ricerca di un qualcosa di tipico e di ideale", pronto a rinnovarsi in relazione ai rapporti che si instaurano consapevolmente o intuitivamente all'interno del processo fruitivo. Questo modo di essere della nostra cultura è un dato comune a tutti gli artisti napoletani che si trovano sempre in situazione pre/liminare o "presunta", cioè che assume e offre in anticipo "quel premio di seduzione e di piacere" incentivante il vero "godimento dell'opera che proviene dalla liberazione di tensione della nostra psiche". Questo "amore per lo forma assoluta, che distingue la nostra tradizione" ha spinto "i viaggiatori di ogni secolo a scendere le Alpi col cuore palpitante" e spinge ancora oggi folle di intenditori e visitatori che riempiono ogni giorno i nostri musei "ad amare" la nettezza, la lucidità, la sobrietà, la tensione delle linee, la tragicità nuda, la grazia senza compiacenza, la naturalezza sovrana dei gesti - tutto ciò che distingua un quadro o un libro italiano". Ebbene questo amore, per gli artisti napoletani, è una donazione, non un dono, non è un sistema filosofico che rifiuti il rischio e rinneghi la psicologia - come dice Pietro Citati a proposito di Benedetto Croce. Infatti, mentre il dono dipende dalla natura, da un interesse o da un impegno nobile e generoso, la donazione è la tensione che accompagna il pensiero e l'azione a dare ciò che si possiede, a sentire in sé il limite della "forma", del dono, e genera uno spazio sempre aperto a nuove dimensioni, mentre non esclude percorsi di angoscia all'interno del proprio operare. Il desiderio di questi artisti è lo specchio, il doppio della loro anima, non della loro persona; non sono dei personaggi, magari sono egoisti, perchè "l'anima è tollerante e nel suo egoismo pensa soltanto a se stessa: il personaggio intollerantissimo perchè vuole il posto degli altri". Magari sono ironici, perchè l'anima è ironica e lo specchio in cui si riflette non è altro che ironia; il personaggio non sopporta che nemmeno uno sguardo ironico sfiori la soave rotondità delle sue superfici". Nella dolce-amara scienza dell' anima, incontrano l'ombra, l'inconscio, il peccato, l'infinito, gli dei". Perciò non hanno nessun debito pubblico, caso mai vantano un immenso credito politico. Infatti, mentre il "desiderio", non della novità ma del nuovo si presenta all'artista come pensiero della soglia, della frontiera e dell' impossibile all'interno del già dato, il potere spesso ignora il suo lavoro che si offre come interrogazione delle forme preliminari, degli spazi in cui l'immagine solitaria e muta, si trasforma ed entra in un' orizzonte diverso da quello politico; talvolta la censura, assumendo il ruolo del "giudice (chi ti ha dato il diritto di operare), del tecnico (perchè parli di ciò che non sai), del riparatore (alla fine ti faremo funzionare a nostro modo)", dell'imbonitore veritiero che, con voce suadente, può dire: "dormite tranquilla, brava gente, non è successo nulla, continuate pure a dormire e a liberare i vostri desideri nei sogni: questo (il lavoro degli artisti e il progetto sensibile della cultura) non fa male a nessuno; vi hanno raccontato, ancora una volta, delle storie". Ma gli artisti napoletani non raccontano "storie" bensì la storia di una città che, attraversata dai problemi laceranti di ogni megalopoli, in essa radicalizzati, non riesce neppure ad attivare i luoghi patrimoniali e pubblici del confronto culturale e della comunicazione visiva, perchè privata di vero progetto e di un minimo coordinamento tra Enti istituzionali (Comune, Provincia, Regione), Istituti pubblici e privati, tra Sopraintendenze, Biblioteche, Università, Musei, Associazionismo culturale e Fondazioni, tra ricerca, singoli artisti, tra operatori economici e culturali. Anche per il problema dell"'informazione", Napoli si inserisce ad uno degli ultimi posti nell'ambito pubblico della "Questione Italiana", salvata unicamente dall'iniziativa di alcuni privati "eccellenti". Questi ultimi, che hanno presentato e presentano le ricerche e il lavoro di giovani napoletani, inserendoli negli scenari artistici nazionali e internazionali, non possono surrogare del tutto il progetto politico che dovrebbe opporsi al potere imperiale degli Stati Uniti "che esportano la loro cultura "locale" con lo stessa facilità con la quale impongono la loro moneta. Il provincialismo culturale di New York mantiene il linguaggio e il potere dell' universalità per cui "tutto quello che arriva da New York è sacro sul mercato dell'arte" e le gallerie newyorkesi hanno il grande vantaggio di "sperimentare il loro prodotto nelle succursali europee", che devono inventarsi nuove strategie nella nuova situazione politico-economica, determinatasi nel vecchio continente. Napoli, città difficile per le laceranti contraddizioni del reale, si trova a vivere in condizioni precarie anche sul piano dell'immaginario e del simbolico in quanto città capitale del Mediterraneo riduce anche i grandi eventi in episodi isolati e frammentari. Ciò rende sempre più inadeguata lo risposta politica alla funzione interrogativa e critica che esercitano nel tessuto sociale: essi, soprattutto gli artisti napoletani, nel contesto descritto, sono costretti innaturalmente a mettersi in difesa del proprio lavoro attraverso l'esoterismo iniziatico dell'avanguardia senza poter affermare e divulgare la pratica comunicativa e dialogica, propria di ogni lavoro. Così che i contenuti dell'immagine, dell'idea, della situazione storica e affettiva, antecedenti dell'elaborazione formale, precipitano in quella forma che permette all'opera stessa di avere una sua realtà e mantenere intatto il suo linguaggio espressivo, indipendentemente dal tempo storico in cui è stata realizzata, indipendentemente dal fatto che l'insieme non viene riconosciuto nè dal potere arrogante dei politici, nè dall'abilità tecnica e poliziesca di ogni Sherlock Holmes.

INDIVIDUALITÀ: SULL'ORIZZONTE DEL MEDITERRANEO

Affacciarsi sull' orizzonte del Mediterraneo significa istituire un grande rapporto analogico con l'immenso scintillio di quel mare, con i suoi colori, con i suoi suoni e con suoi profumi. Vivere invece sull'orizzonte del Mediterraneo e scoprirne, ogni giorno, gli effetti significa "sperimentare lo spazio mediterraneo", quello che Valery definisce in "rarefazione" non a proposito del cielo e del mare, ma a proposito delle vecchie case meridionali, con le loro grandi stanze, adattissime a una meditazione, con il loro grande vuoto, chiuso, dove il tempo non conta e che lo spirito vuole popolare di oggetti voluminosi e sperduti; unico luogo in cui accade che l'avvenire sia causa del passato. "Il Mediterraneo è un immenso complesso di ricordi e di sensazioni: le lingue, il greco e il latino, una cultura, storica, mitologica e poetica, tutta la vita delle forme, dei colori e delle luci, che ha origine alla frontiera degli spazi terrestri e della distesa del mare", che bagna le case delle isole, alcuni tratti di rocce, archi a volte, immersi nel vuoto del cielo. E' il luogo ove l'archetipo collettivo della ''bellezza", una volta assoggettata al regime apollineo, euforico e misurabile, rimanda alla forma della mutabilità e del cambiamento, ovvero ad una" bellezza dionisiaca", al fremito dell' emotività, all'equilibrio instabile della sensibilità, alla seduzione, come direbbe Baudrillard. Nasce così la cultura del naufragio e del relitto. La nave della totalità, il vascello di Apollo, è affondato. Sulla cresta dell'immaginario aggallano frammenti di struggente perfezione. Si può perdersi nel
Mediterraneo per cercarli, consapevoli che l'odissea del ritorno è comunque più interessante della minacciosa, oscura sosta ad Itaca. E, in ogni caso, torniamo ad immaginare sotto il segno di Dioniso, della fluidità, della mutabilità. Tuttavia, la fluidità individuale, pur nella prospettiva (dell'insondabile impasse collettiva), non significa disequilibrio, disorientamento o (perdita della testa) ... Si tratta di ritrovare un"equilibrio dinamico, che è l'equilibrio delle forze". Flavio Caroli.In questa direzione e in questa ottica, i nostri artisti restano e assumono una posizione preliminare, che li sofferma davanti alla soglia invalicabile dell'inconscio collettivo, proprio mentre la loro forma consente all'opera prodotta di avere una sua propria realtà e di mantenere intatto il suo significato espressivo, indipendentemente dal luogo e dal momento storico in cui è stata realizzata. Certamente una mostra non esaurisce tutto il discorso teorico, ma i singoli segnano il limen (ancora una volta la soglia) dell'accaduto e le tensioni del luogo non ancora raggiunto, o l'itinerario del desiderio.......

All'orditura "nitidamente geometrica" ricorre invece Gianni De Tora per rivelare l'energia fisica di colore e "coscienza di realtà sensibili e naturali". Così che De Tora scopre nella stesura cromatica la "substantia" delle cose, per cui assegna un' eticità alla "materia". "Dietro a un mondo di apparizioni mutevoli De Tora insegue una forma definitiva, che il tempo, gli eventi hanno relegato nell'ombra e nell'oblio", nota Carmine Benincasa, per il quale l'artista riordina frammenti sottratti al caos, per costruire "una gerarchia di segni e di colori, una sequenza logica della scansione temporale". E l'opera diventa anche e soprattutto alfabeto dell'esperienza........

 
REDAZIONALE DA "IL MATTINO" DEL 23.9.1993
 
 
1994 - cartoncini invito mostra Accademia d'Egitto per mostra 1992
 
 
RISORSE AGGIUNTIVE
Sintesi del catalogo della mostra /SCARICA IL PDF
Locandina della mostra /SCARICA IL PDF

 

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